L’ukulele è per tutti

La storia dell’ukulele è caratterizzata da tre fasi nelle quali l’interesse verso lo strumento è cresciuto in modo improvviso ed esponenziale e ciò è avvenuto in concomitanza con eventi che ne hanno favorito la conoscenza e la diffusione.
Il primo boom risale al 1915 con l’Esposizione Internazionale Panama-Pacifico di San Francisco in cui gli hawaiani hanno per la prima volta mostrato al mondo, ma in particolare agli statunitensi la musica e le danze delle loro isole proponendo anche concerti e dimostrazioni dell’ukulele. 
Il secondo boom avvenne intorno al 1950 con il lancio radiofonico e televisivo dell’ukulele ad opera di Arthur Godfrey. La terza fase è di un’epoca più recente, gli anni 90, con il successo del disco Facing future di Israel Kamakawiwoole e in particolare della versione medley Over the rainbow / What a wonderful world.
Attualmente stiamo assistendo a una nuova ripresa di interesse verso il nostro strumento e questo ci stimola a porci una domanda: è ai nostri giorni l’ukulele uno strumento cosmopolita? In parte direi di si perché la sua estrema adattabilità ad eseguire generi e stili musicali diversi lo rende molto versatile ma non solo: sono molte le ragioni per cui l’ukulele sta diventando sempre più diffuso e quindi “cittadino del mondo”. Mi vengono in mente alcuni motivi e ma anche i pro e contro di questa diffusione.

1. L’ukulele è un oggetto strutturalmente piccolo, molto semplice, quindi maneggevole e immediato.

Questa affermazione non è del tutto vera perché  nessuno strumento musicale, quando suonato con perizia e abilità , è  semplice; è vero invece che l’approccio all’ukulele è facile, suonare le sole corde a vuoto dà già  un risultato apprezzabile.
A questo proposito non so dove ho letto che alle origini, quando nacque dalla fusione di due strumenti portoghesi chiamati rajao e braguinha,  la scelta di utilizzare l’accordatura del rajao (che tra l’altro aveva 5 corde e non 4) anziché quella della braguinha sia dipesa dalla maggior facilità a trovare con la mano sinistra le posizioni degli accordi  secondo concatenazioni armoniche proprie della musica tonale. L’accordatura della braguinha che appartiene alla famiglia del cavaquinho infatti è più consona al sistema modale. Questa tesi andrebbe approfondita ma è ovvio che l’accordatura sol do mi la sia più agevole di re sol si re.
Se avete qualche dubbio provate a fare un semplice giro di Do o di Sol con una braguinha o un cavaquinho brasiliano, più facile da trovare. Altrimenti sull’ukulele abbassate la prima corda di un tono raddoppiando il sol della quarta corda (sol do mi sol) mentre sulla chitarra abbassate il mi cantino a re (re sol si re) e provate a suonare, non ci vorrà molto per convincersene: a parità di sequenza armonica la disposizione delle corde sull’ukulele risulta più facile e agevole anche semplicemente perché spesso richiede l’uso di meno dita e per giunta in posizioni più ravvicinate e con la mano raccolta.
È  un discorso un po’ tecnico e specialistico ma è  essenziale per capire che l’ukulele è nato come semplificazione di altri strumenti popolari.


Detto ciò l’unico inconveniente per chi inizia a suonare l’ukulele potrebbe essere l’accordatura rientrante ma questo non rappresenta un problema finché non si inizia a cimentarsi sulle melodie. Essendo preferito dal principiante, spesso autodidatta, un approccio ritmico armonico per l’accompagnamento del canto, almeno nei primi mesi, dell’accordatura rientrante non se ne cura nessuno limitandosi a compiacersi per quella sonorità   interessante che l’accordatura rientrante produce. Altra cosa è eseguire melodie sfruttando la possibilità di avere sostanzialmente due corde che cantano in alto e in basso da pizzicare col pollice e con l’indice. Una volta scoperto il meccanismo si apre un nuovo mondo e ci si appassiona a trovare melodie caratterizzate da un effetto che gli antichi chiamavano campanelas. L’ effetto campanelas è quello proprio delle campane che, intonate ciascuna su un singolo suono, non ne smorzano la vibrazione sovrapponendosi alla successiva campana / suono creando questo caratteristico e affascinante effetto. Sugli strumenti con accordatura rientrante avviene la stessa cosa, grazie alla presenza di almeno due corde che a vuoto o tastate producono note consecutive. Di tutto ciò l’ukulele e molti altri strumenti (penso in primis al charango) sono debitori delle chitarre antiche: quella rinascimentale, a quattro coro doppi, e quella barocca a cinque cori doppi. 

2.Disponibilità e basso prezzo. Pro e contro

Si sa che se un prodotto ha un costo accessibile ci sono più possibilità che venga acquistato, ma da chi? Da chi è semplicemente o superficialmente incuriosito e non vuole spendere troppo per un interesse che potrebbe rivelarsi poco durevole, si sa, per un prodotto nuovo questo conta moltissimo. L’ukulele come oggetto interessante che suscita curiosità ha dalla sua il vantaggio di poter costare poco, anzi pochissimo.... perfino 25 euro!!!! Ma tutto ciò può rappresentare un’arma a doppio taglio: quando io compro una cosa a basso prezzo molto spesso mi si rompe in poco tempo, la sua qualità è inferiore e quindi mi può portare a ritenere di poco valore quello stesso oggetto. Insomma è solo un ukulele cosa vuoi ottenere di più, l’ukulele costa quanto vale, non lo vorrai mica paragonare ad altri strumenti! Ma gli altri strumenti per un principiante costano molto di più: un flauto traverso, un sax, una batteria eppure riscuotono interesse e il loro fascino è fuori discussione.
Dal boom degli anni 20  in poi negli Stati Uniti le più  grandi case produttrici iniziarono ad interessarsi all’ukulele, mettendolo in produzione anche su fasce di prezzo economiche: Martin per primo riuscì a venderne  moltissimi e nessuno strumento per banda riusciva a tener testa a questa esplosione di vendite. Erano gli anni 30 quando artisti del calibro di Ukulele Ike ovvero Cliff Edward riscuotevano un grandissimo successo accompagnandosi col proprio ukulele.


Tutto ciò avvenne regolarmente in corrispondenza alle cosiddette tre ondate in cui l’interesse verso il nostro ukulele crebbe a dismisura. Molti erano le cause di questo incremento di interesse e non è questa la sede per aprire il discorso. Ora ci preme notare come la vendita di strumenti a basso prezzo crebbe in modo esponenziale.
Negli anni ‘50 ad esempio comparvero addirittura ukulele di plastica: il Carnival, l’Islander uke, l’ Arthur Godfrey TV Pal e in questa produzione venne coinvolto Mario Maccaferri, un liutaio di primissimo piano.


3. Nuovi canali di informazione e apprendimento

Ultimo elemento che contribuisce a rendere l’ukulele uno strumento cosmopolita è certamente la facilità con cui è possibile acquisire tutorial metodi dischi stralci di live soprattutto attraverso la rete con video.
Come insegnante non posso evitare di sottolineare come l’apprendimento si basa sulla  relazione  allievo insegnante basato su confronti scambi che in genere avvengono di persona e non virtualmente  ma nel mondo dell’ukulele non sempre è avvenuto così:  Arthur Godfrey , sempre lui, faceva anche lezioni durante le sue trasmissioni e recentemente in modo del tutto fortuito mi sono imbattuto su YouTube in una registrazione audio di un tutorial a cura di una figura femminile fondamentale nella storia dell’ukulele, May Singhi Breen, la quale spiega come suonare. 


Oggi la divulgazione dell’ukulele tramite il web è diffusissima c’è l’imbarazzo della scelta nel seguire questo o quel personaggio: da Aldrine Guerrero col suo sito ukulele underground,  all’italiano Jontom con Youkulele.com, a molti altri personaggi che da ogni parte del mondo, anche senza uno specifico background si cimentano in video esemplificativi. Insomma, ce n’è per tutti i gusti perché è proprio vero: l’ukulele è per tutti!


Per chi volesse ascoltarsi la puntata radiofonica legata a questo articolo clicchi qui



Articolo scritto da:
Davide Donelli di
INTORNO ALL’UKULELE



Commenti

Post più popolari